Dov’è finito l’invisibile?
Siamo tecnologici e ci sentiamo progrediti. Ma nella nostra storia non abbiamo dimenticato qualcosa per strada? Forse abbiamo perso l’essenziale. Il racconto del mio incontro con un libro unico.
Ma almeno siamo coscienti di essere gli unici, noi occidentali, ad essere impegnati quotidianamente a cancellare le realtà invisibili dalle nostre vite?
Essere al corrente di questa scelta, unica nel genere umano, mi pare già un inizio.
Siamo gli unici al mondo, chiaro?
Gli altri sull’invisibile ci hanno costruito visioni del mondo e ancora ci vivono dentro.
Spesso sono così immersi in tali fondamentali questioni (l’anima, il destino dopo la morte, l’esistenza di un Altro al di sopra del tempo e della vita) che non hanno avuto il tempo per sviluppare lo smartphone.
Noi viviamo così, ignari e soddisfatti del nostro presunto progresso, la nostra bella tecnologia, le nostre cose che hanno sempre un prezzo o quasi, il commercio di cui abbiamo intriso persino l’amore se uno dei nostri cavalli di battaglia è “ama chi se lo merita” (cioè chi mi dà il giusto tornaconto sentimentale).
Ma noi “siamo i meglio”, giusto?
Se una cosa la facciamo noi… Beh, si vede che era la cosa più intelligente.
Devono essere scemi quelli che la sera mettono una ciotolina d’acqua sulla finestra per gli antenati, o quelli (anche in Sardegna, visto che lo faccio anch’io) che il primo novembre apparecchiano la tavola per i loro morti, per farli sentire amati e accolti, per una volta che tornano.
Tutta questa roba sembra vada dimenticata, sminuita, spazzata via: non se ne vede l’utilità immediata…
E se si parla di utilità, forse sempre di commercio si tratta.
Questo, cari miei, è dunque tutto l’orizzonte che apriamo ai giovani e al futuro.
Io lo so che tra noi c’è chi si è stampato dentro quelle famose parole del Piccolo Principe su cosa sia l’essenziale.
Allora c’è un libro per i grandi che ha deciso di incrociare il mio cammino mentre penso questi miei pensieri, e se può valere qualcosa, ve lo consiglio con il solito spirito: come se chi legge fosse il mio migliore amico o, meglio ancora, mio fratello o mia sorella.
“L’uomo e l’invisibile” di Jean Servier, grande etnologo e storico francese.
Se siete avventurosi, ma così tanto da rischiare persino che qualcuno o qualcosa incrini la vostra mentalità, buttatevi nella lettura.
(I primissimi capitoli sono un po’ tosti, ma vi autorizzo a saltarli.)
Scoprirete che senza Invisibile è un po’ come per i pesci fuori dall’acqua: per un po’ di tempo si resta vivi lo stesso, anzi ci si dibatte allegramente con un sacco di energie in più, ma in realtà si sta morendo.